Meloni, l’applauso a Berlinguer riporta a un’altra politica: quel rispetto tra “nemici”

Botta e risposta tra La Russa e Bianca, figlia del leader del PCI a cui il capo dell’MIS Almirante rese omaggio dopo la scomparsa

Meloni, l’applauso a Berlinguer riporta a un’altra politica: quel rispetto tra “nemici”
di Mario Ajello
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Lunedì 29 Aprile 2024, 00:14

ROMA Chi la conosce bene ha sempre detto di Giorgia Meloni, usando un’espressione affettuosamente scherzosa, «a lei piacciono i cosacchi». Cioè? Cioè i comunisti. E dunque, guai a stupirsi che Ignazio La Russa, sotto lo sguardo benedicente della leader di FdI, abbia chiamato la standing ovation per Enrico Berlinguer, e la platea meloniana a Pescara si sia spellata le mani in onore del mitico segretario del Pci.

Ignazio, intervistato sul palco dalla sua amica Bianca, la figlia di Enrico, lega Berlinguer a «un momento fondante della storia della destra italiana»: l'omaggio che Giorgio Almirante rese al feretro del leader comunista (gesto che verrà ricambiato da Giancarlo Pajetta, il «ragazzo rosso» che fu partigiano, quando morì il segretario del Msi che era stato repubblichino). «In te - dice La Russa a Bianca - noi onoriamo anche la figura di tuo padre». «Essere la figlia di Enrico Berlinguer - dice lei - la considero una fortuna, un dono che la vita mi ha concesso e che purtroppo è terminato troppo presto perché papà è morto a 62 anni.

La nostra vita, delle mie sorelle, di mio fratello e mia, per la maggior parte è trascorsa senza papà». La platea comincia ad applaudire e allora La Russa si alza in piedi e sottolinea che «questo applauso e questa standing ovation cui mi unisco è la coerente continuazione dell'omaggio che il capo della destra rese a Enrico Berlinguer nel giorno della sua scomparsa».

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Se esistessero ancora i fascisti e i comunisti, quella di ieri a Pescara verrebbe catalogata come una giornata fascio-comunista, come un momento di abbraccio tra le due culture politiche che più si sono combattute (ma che più si sono anche attratte). Non è un caso, ma il segno di una profonda condivisione per esempio sulle politiche sull’immigrazione, che l’altroieri il più applaudito dai Fratelli d’Italia a Pescara - dove ha indossato la maglietta della kermesse meloniana anche Bruno Frattasi, al quale è stata affidata dal governo la direzione della cybersicurezza e che quando era prefetto nella destra qualcuno chiamava «il prefetto rosso» - sia stato l’ex ministro Marco Minniti, presidente della fondazione legata a Leonardo, Med-Or, apprezzatissimo da Giorgia e di origini Pci orgogliosamente rivendicate.

E ancora, a proposito della stima di Meloni per i «cosacchi», quando lei ancora non era premier il 16 luglio 2021 si avviò tutta contenta a L’Aquila. Motivo? Battere le mani al «maestro». Il «maestro» era Luciano Violante, in quell’occasione autore di una riduzione teatrale del mito di Clitemnestra. E che cosa dire, a proposito di Berlinguer, della recente visita della leader della fiamma alla mostra in suo onore organizzata dal «bolscevico» Ugo Sposetti all’ex mattatoio di Roma?

Il bello della politica sono proprio questi intrecci. Quando Bianca Berlinguer ha citato la morte dei fratelli Mattei, rivelando che «di quella foto in casa mia si parlò per giorni e giorni», il pubblico di nuovo si alza in piedi per rendere omaggio alle vittime della strage di Primavalle. E continua ad applaudire quando la giornalista invita a tenere a mente la violenza che insanguinò gli anni ‘70 e ‘80, evocando gli assassinii di Mario Lupo, Walter Rossi, Sergio Ramelli, Valerio Verbano, giovani militanti di destra e di sinistra.

ICONA POP

In Berlinguer, la destra vede un politico di razza che ha dato la vita per il suo impegno militante, e questo nella retorica dell’eroismo della destra conta molto di più delle differenze ideologiche. Che oltretutto, anche se Meloni non ha ancora una volta accettato di dirsi antifascista il 25 aprile, tendono a sfumare.

E comunque (e per fortuna, sennò sarebbe ridicolo) qui non c’è la destra che (come fa Conte ai danni di Schlein costretta a mettere gli occhi di Berlinguer nelle nuove tessere del Pd) tenta il rubabandiera. C’è solamente l’omaggio degli ex nemici a una figura della storia che oltretutto è un’icona pop un po’ come Che Guevara. Il senso è lo stesso per cui, a breve e con gran favore del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, aprirà a Roma una mostra dedicata ad Antonio Gramsci, alla quale studiosi di destra e storici «cosacchi» stanno lavorando gomito a gomito.

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