Marchionne, addio blindato a Zurigo: coma irreversibile

Marchionne, in coma irreversibile: addio blindato nella clinica di Zurigo

di Mario Ajello, inviato a Zurigo
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Il coma irreversibile di Sergio Marchionne. In una domenica a Zurigo, grigia, desolata, adatta a certe canzoni di Paolo Conte, il suo cantautore prediletto. Le infermiere dell’ospedale universitario svizzero - che è in una serie di palazzine beige, e in cima a una di queste c’è lui: l’ex amministratore delegato di Fca, protetto e irraggiungibile - controllano i monitor, entrano ed escono dalla stanza semi buia del manager filosofo, s’impegnano e pregano e lottano per evitare il peggio. Ma è una battaglia durissima, più di tutte quelle che ha dovuto combattere Marchionne.

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SILENZIO
La sua abitazione, a Blonay, sul lago di Ginevra, è a due ore di auto. Ma è come se fosse in un altro mondo, lontanissima come il resto della sua vita, perché è qui, nel silenzio e in un crepuscolo che a sera si fa piovoso, che egli sta adagiato nel reparto di terapia intensiva. E la sua esistenza, il suo personaggio, a pensarci a pochi metri dal letto che lo accoglie, rientrano nella categoria del genio italiano. Quello che incontra grandi difficoltà in patria, trova il successo all’estero, incarna lo spirito d’innovazione che lo rende insieme globale e molto radicato nella storia e nella vocazione del nostro Paese.
 
Do you remember Leonardo? Ma no, non servono paragoni a effetto e oltretutto sproporzionati. Però nell’ospedale impenetrabile, in questa Svizzera che è una delle patrie di Marchionne, c’è uno special one, un talento innato, uno che non ha cercato soltanto di cambiare la Fiat. Inerpicarsi lungo i quattro piani delle palazzine? Proprio non si può. L’ospedale neppure conferma che Marchionne sia tra i suoi pazienti. Ma l’infermiera amica di un amico di un amico confida: “La situazione non è bella”. Un eufemismo.
 
L’ambiente svizzero, così ovattato, con quel suo rigore candido ma straniante e capace di sterilizzare tutto, è adatto a proteggere Marchionne nella sua camera. Gli occhi sono chiusi, quegli occhi fuori dal comune, capaci di sfidare e di superare ogni schema, anche grazie alle piccole lenti da filosofo della prassi che ora staranno magari in qualche armadietto, insieme al maglioncino blu (o nero). La lettera che John Elkann ha scritto ieri parla anche del suo sguardo ma ne parla al passato, lo descrive come un’”eredità” e come una “rarità”. Qui all’ospedale, lo sguardo spento di Marchionne si riflette negli sguardi persi dei medici che non dicono ma dicono. Vorrebbero dire ma non possono. 

Nella mestizia di questa giornata in cui tutto è silenzioso, comprese le poche auto che passano sulla Remistrasse di fronte all’ospedale, Marchionne che si è sempre considerato un direttore d’orchestra è rimasto senza la sua musica. Senza lo spirito vitale che ha fatto di lui ciò che è stato. Si sente soltanto, ma lui non può percepirlo, il ticchettio delle macchine sanitarie. E le voci sussurrate riguardo al tumore al polmone. I figli Alessio Giacomo e Jonathan Tyler oggi non ci sono. La compagna Manuela Battezzato, 47 anni, ogni tanto entra nella stanza per dargli una carezza. Ma Marchionne non reagisce più alle cure, neanche a quelle dell’amore. E in questo coma irreversibile, che comunque non è ufficiale, c’è il tempo di attrezzarsi per tutto. Anche se la successione aziendale in buona parte è già completata.

Arrivano a metà pomeriggio due ragazzi, sono cugini di secondo grado di Marchionne. Fratello e sorella, lei ha 31 anni, somiglia fisicamente a Sergio. Provano ad avvicinarsi al suo reparto, la security ferma anche loro. Lasciano un messaggio a Manuela. Vanno via, più pallidi di come sono arrivati. Promettono di tornare in questo luogo dove nulla sembra muoversi, a parte la sorte di Marchionne. Nel vuoto di tutto, il manager filosofo non ha più i suoi occhiali, non ha le parole che hanno sempre accompagnato le sue imprese, non può che essere sparito quel suo sorriso sornione, di un timido ma anche estroverso, e oggi è una giornata più cupa delle altre, dove tutto sembra precipitare. E pensare che quando il 27 giugno è entrato qui dentro, per operarsi alla spalla, aveva tranquillizzato se stesso e gli altri. «Starò appena pochi giorni, e si torna al lavoro».

RISPETTO
Invece, no. È rimasto qui, le condizioni sono quelle che sono. La sua storia continua a parlare, ma lui no. Ed è una storia che stride, per esempio, rispetto a certi attacchi che - spietatamente, ingiustamente, e che pena e che abisso di cattiveria - stanno inondando i social e provengono anche da sedicenti operai. Che lo descrivono come un orrido padrone. Lui che è stato l’opposto, lui che diceva: «Ho un grande rispetto per gli operai. Ho sempre pensato che le tute blu scontino il più delle volte, senza avere responsabilità, la conseguenze degli errori compiuti dai colletti bianchi». Ma adesso queste cose sono distanti assai dalla triste quiete dell’Universitatsspital. Così come è lontana, ma indimenticabile, quella che forse è stata la più grande eredità che questo innovatore liberale, più rivoluzionario che riformista, ha lasciato al nostro Paese.

IL LIBRO
Ha fatto emergere, tramite il suo approccio alle questioni del lavoro, alcuni mali italiani che lo hanno preceduto e rischiano di sopravvivergli: un sistema lento e ingessato a tutti i livelli, una burocrazia opaca e contorta, una giustizia aleatoria, un pansindacalismo archeologico a tutto danno dei lavoratori. Ora sul comodino non può esserci neanche un libro, non è più tempo di letture. E certamente, in un momento così, estremo, Marchionne avrebbe voluto almeno avere al suo fianco - oltre alla speranza - quel racconto di Tolstoj che è sempre stato in cima alle sue predilezioni. Quello che s’intitola “I cosacchi”, che parla della ricerca della verità e del senso della vita.

Quello in cui il grande romanziere russo scrive, e Marchionne ha spesso ripetuto: «Come sempre suole accadere in un lungo viaggio, alle prime due o tre stazioni l’immaginazione resta ferma nel luogo da dove sei partito, e poi d’un tratto, col primo mattino incontrato per via, si volge verso la meta del viaggio e ormai costruisce là i castelli dell’avvenire». Questa filosofia del non stare mai fermo, di esplorare sempre, di costruire il futuro con abnegazione e immaginazione è sempre stata la filosofia di Marchionne. Adesso, però, è arrivato a una tappa in cui è difficile contemplarne un’altra.
 

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Lunedì 23 Luglio 2018 - Ultimo aggiornamento: 20:42 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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2 di 2 commenti presenti
2018-07-23 13:29:13
ho provato dolore ieri nell'apprendere che le sue condizioni si erano aggravate è stato un grande anche sbagliando non si dimentichi come aveva raccolto la Fiat
2018-07-23 16:03:43
e' vero, un grande uomo e un grande leader, comunque, non si deventa tali se non circondati anche da altrettanti meritevoli piccoli uomini. Magari avverrebe un miracolo e si risvegli da questo irreversibile stato comatoso, di cui non si agura a nessun essere umano, sono sicuro che al suo risveglio sarebbe tutt'altro che il marchionne di prima, prenderebbe la vita diversamente, capirebbe chi veramente fa i sacrifici a questo mondo, di vanitosi, di esagerata ambizione, senza limiti e senza sosta, e infine popolato e manipolato da egoisti e di narcisisti..