Lamberto Tacoli, presidente di Nautica Italiana

Tacoli insiste: «Pace con Ucina per il bene della nautica». Ma ora la priorità sono i porti turistici a rischio fallimento

di Sergio Troise
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VERONA - «Riteniamo che i tempi siano ormai maturi per il ricongiungimento del comparto nautico italiano sotto un unico tetto confindustriale, uscendo dai personalismi e pensando esclusivamente al bene dell’intero settore. Un settore che si conferma leader in più segmenti, soddisfatto della costante crescita degli ultimi anni». Con queste parole pronunciate dal presidente Lamberto Tacoli si è conclusa, il 14 dicembre, l’assemblea di fine anno dei soci di Nautica Italiana, l’associazione d’imprese aderente ad Altagamma costituita nel settembre 2015 da un gruppo di aziende (inizialmente 25, poi allargatasi a un centinaio) uscite polemicamente da Ucina.

La svolta è maturata nel corso dell’assemblea generale svoltasi a Verona, nella sede delle Cantine Menegolli, dove il comitato di presidenza ha illustrato i risultati ottenuti nel 2018 ed ha aggiornato i partecipanti sulle novità in cantiere per il 2019. Tra gli obiettivi da perseguire c’è l’organizzazione della terza edizione del Versilia Yachting Rendez-Vous a Viareggio, in collaborazione con Fiera Milano, su cui grava però la minaccia di diserzione di Ferretti Group, uno dei soci più rappresentativi dell’associazione, che ha in animo di organizzare una manifestazione “in proprio” a Venezia.

Ma su questo tema non ci sono ancora decisioni definitive, e pertanto Nautica Italiana ha deciso, una volta di più, di tenere i riflettori accesi sul piano di riavvicinamento a Ucina: una scelta – è stato spiegato - motivata con l’esigenza di consolidare ulteriormente il ruolo di leadership mondiale del Made in Italy recentemente “certificato” anche dalla pubblicazione del Global Order Book 2019, la classifica di riferimento dei 20 maggiori produttori di barche sopra i 24 metri appena pubblicata dalla rivista Boat International UK.

A tale proposito vale la pena ricordare che per il 19° anno consecutivo il Gruppo Azimut-Benetti guidato da Paolo e Giovanna Vitelli si è confermato primo produttore al mondo di mega yacht, con una metratura totale pari a 3.536 metri e 97 progetti, valori di gran lunga superiori a quelli degli altri player. Con 91 progetti (+ 4,6% sul 2018) e 2.952 metri di barche sopra i 24 metri (+ 6,9 sul 2018) si è consolidato al secondo posto il Gruppo Ferretti (Ferretti Yacht, Riva, Pershing, Itama, Mochi Craft, CRN, Custom Line), altra eccellenza italiana (sia pure di proprietà cinese) da anni protagonista di una inarrestabile espansione internazionale.

Sui segnali di pace lanciati da Nautica Italiana non si sono registrate ancora reazioni ufficiali da parte della presidente di Ucina Carla Demaria. La quale, con ogni probabilità, avrebbe esultato pubblicamente qualora i “fuggiaschi” avessero manifestato chiaramente l’intenzione di “tornare a casa” con il capo ricoperto di cenere, sciogliendo la nuova associazione e reiscrivendosi alla storica rappresentanza confindustriale da lei guidata. Ma a quanto pare le cose non stanno esattamente così: Nautica Italiana avrebbe un piano strategico mirato a portare avanti progetti comuni, condividendo onori e oneri; ma nessuno, né Tacoli né i suoi sodali hanno mai ipotizzato lo scioglimento dell’associazione da loro costituita nel 2015 e il ritorno di tutti sotto l’ombrello di Ucina.

Il tema è comunque sul tappeto e con ogni probabilità se ne parlerà, all’interno di Ucina, mercoledì 19 dicembre a Roma, in occasione di un evento organizzato sui temi dell’internazionalizzazione e sul ruolo della nostra nautica nel mondo: all’evento parteciperanno numerosi esperti di prestigio, tra i quali il professore Carlo Cottarelli, mentre il Governo sarà rappresentato dal vice ministro Infrastrutture e Trasporti Edoardo Rixi.

Tutto ciò premesso, il problema più urgente da risolvere, per il comparto nautico, è però un altro. E riguarda il contenzioso sui porti turistici: come è noto, infatti, a causa delle modifiche unilaterali delle concessioni e dell’aumento retroattivo dei canoni da parte dello Stato, almeno 26 porti rischiano di cessare l’attività a causa della pretesa di importi maggiorati fino al 500% del canone concessorio inizialmente pattuito. Il Marina Blu di Rimini è stato il primo a cedere sotto i colpi del fisco, avendo ricevuto dall’Agenzia delle Entrate una cartella esattoriale per 1,1 milioni di euro e il blocco dei conti correnti. A rischio ci sono oltre duemila posti di lavoro. E se a tutto ciò si aggiungono i danni provocati dalla mareggiata del 29 ottobre si avrà chiaro il quadro dell’emergenza.

Per porre rimedio alla situazione gli operatori del settore (in testa Ucina e Assomarinas) hanno più volte sollecitato Governo e Parlamento ad approvare un emendamento alla legge di bilancio che escluda dalla rideterminazione dei canoni demaniali prevista nel 2007 le concessioni rilasciate prima del 2003, arginando il contenzioso e dando così seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale (che ha dato ragione ai gestori-investitori privati). L’emendamento salva-porti è stato presentato da Roberto Marti, senatore pugliese vicino a Salvini, e potrebbe essere approvato (o bocciato) nelle prossime ore.

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Sabato 15 Dicembre 2018 - Ultimo aggiornamento: 16-12-2018 13:18 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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