Niki Lauda

Niki, il campione che ebbe il coraggio di avere paura

di Sergio Troise
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ROMA - Aveva 70 anni, era malato, costretto prima al trapianto dei polmoni, poi alla dialisi per complicazioni renali, gravemente provato anche nel morale. Le persone a lui più vicine sapevano che il destino stava ormai per compiersi, ma tutti avevamo sperato che Niki Lauda ce la facesse, ancora una volta. Come nel 1976, quando uscì miracolosamente vivo dalla sua Ferrari impazzita, sul circuito del Nurburgring, nel cuore della foresta nera: l’auto avvolta dalle fiamme, lui intrappolato nell’abitacolo, Harald Hertl, Brett Lunger e Arturo Merzario coraggiosamente tuffatisi nel fuoco per slacciargli le cinture e salvarlo. In ospedale gli fu data l’estrema unzione. Ma ne uscì miracolosamente vivo, anche se sfigurato nel volto.
 

Da allora quella faccia dai lineamenti stravolti è diventata un simbolo. Di coraggio, di coerenza, di sapienza. “Il cervello è più importante dell’aspetto fisico” diceva Niki. E tirò avanti. Appena 42 giorni dopo il terribile incidente si presentò a Monza per il Gran Premio d’Italia. Era ancora convalescente, ferite aperte, piaghe sanguinanti, un orecchio tranciato, palpebre bruciate, occhi lacrimanti, polmoni asfittici. Mettere e levare il casco era una tortura. I medici erano perplessi. Ma lui insisteva: “L’importante è che funzioni il piede destro, quello che schiaccia l’acceleratore” diceva. Ottenne il via libera e, tra lo stupore generale, corse il Gran Premio classificandosi quarto e riaprendo la lotta con James Hunt per il titolo mondiale. Divenne un eroe.

Poi la clamorosa svolta del Giappone. Sul circuito del Fuji si scatenò un inferno d’acqua. La pioggia aveva invaso la pista, l’aveva resa viscida e stracarica d’insidie. Si vedeva poco o niente. Ogni curva un rischio, ogni sorpasso un incubo. Niki, ancora convalescente, era lì, deciso a battersi con James Hunt per il titolo mondiale. Ma quel giorno ebbe un sussulto, un ripensamento, e si rese protagonista di un gesto clamoroso, che gli avrebbe assegnato un posto privilegiato nella storia dello sport. Ebbe il coraggio di avere paura. E si ritirò, lasciando al rivale Hunt il titolo di campione del mondo.
 

 

Quel gesto clamoroso ha assegnato a Niki Lauda un ruolo nuovo: non più, o non solo, il meticoloso e infallibile computer delle piste, insensibile persino al dolore fisico, ma un uomo normale, con le sue debolezze, le sue angosce, i suoi pregi, i suoi limiti. Come tutti noi. E per questo, nel tempo, l’uomo Lauda ha superato il campione, acquistando una immagine pubblica che ha fatto passare in secondo piano certe spigolosità del carattere e ha reso sempre più sbiaditi i ricordi dei dissapori con Enzo Ferrari, la rivalità con Hunt, le tensioni con Clay Regazzoni, i giudizi tranchant su uomini e cose della Formula 1.

Alla corte del mitico Grande Capo di Maranello Niki Lauda era arrivato nel 1974, segnalato da Regazzoni. E con la Ferrari ha vinto due titoli mondiali, nel 1975 e nel 1977. Il terzo titolo lo conquistò nel 1984 con la McLaren. In carriera ha gareggiato anche con March, BRM e Brabham, ha disputato 171 Gran Premi, vincendone 25, segnando 24 pole position e altrettanti giri veloci. Aveva uno stile di guida ispirato alla precisione, studiava meticolosamente la messa a punto della macchina e le traiettorie delle piste. Non concedeva nulla alla scena, rarissimo vederlo con le ruote nell’erba, in controsterzo o in derapage, la sua guida era precisa, pulita, senza fronzoli.

Questo suo modo di guidare gli aveva aperto le porte dell’automobilismo che conta nel 1971, in occasione di un test al volante di una March-Ford 712. Niki vide girare Ronnie Peterson ed esclamò, rassegnato: “Io non sarò mai capace di guidare come lui, sfiora i guardrail e riprende la macchina senza problemi”. Alla fine il cronometro sentenziò 1’14”3 per lo svedese e 1’14” netti per l’austriaco. Col tempo la sua guida pulita, redditizia, calcolata, gli avrebbe procurato il soprannome di “computer”.


Nella vita di Lauda c’è stato anche altro: ha fondato e diretto, con alterna fortuna, due compagnie aeree, la Lauda Air e la Niki. Rientrato nel mondo delle corse, per un paio d’anni si è occupato della scuderia Jaguar. Poi, dal 2012, la Mercedes gli ha offerto un ruolo di grande prestigio: presidente della squadra di Formula 1, sia pure con un ruolo non operativo. Dispensava pareri, consigli e massicce dosi di esperienza ai piloti, ai meccanici e allo stesso Toto Wolf, puntualmente affiancato nei box prima che la malattia lo aggredisse.

Era nato a Vienna il 22 febbraio 1949. In una nota inviata alla stampa, la famiglia ha dato notizia della sua fine. “Con profondo dolore – vi si legge - annunciamo che il nostro amato Niki è morto pacificamente circondato dalla sua famiglia lunedì 20 maggio 2019. I suoi successi unici come sportivo e imprenditore sono e rimarranno indimenticabili, così come il suo instancabile entusiasmo per l’azione, la sua schiettezza e il suo coraggio. Un modello e un punto di riferimento per tutti noi, era un marito amorevole e premuroso, un padre e nonno lontano dal pubblico, e ci mancherà”.

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Martedì 21 Maggio 2019 - Ultimo aggiornamento: 17:52 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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1 di 1 commenti presenti
2019-05-21 22:57:25
non si è fermato perchè aveva paura ma perchè erano d'accordo che dovevano fermarsi tutti ed invece hunt non si è fermato e poi il temporale è cessato ed è finita come sappiamo.