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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Elon Musk e Sergio Marchionne

Ferrari e Tesla, l'oro dell'Auto: hanno un valore superiore a costruttori che vendono mille volte di più

di Giorgio Ursicino

ROMA - Le galline dalle uovo d’oro. Storie così emozionali che non possono avere una spiegazione logica. La forza del brand travolge ogni cosa e chi profuma di leggenda esce degli schemi infischiandosene delle ragioni dei numeri e anche delle rigide logiche del business. Ci sono dei racconti in cui la passione ha senza dubbio il sopravvento sulla razionalità. Il comune denominatore è sempre l’eccellenza umana. L’intuito. Il talento. Il tocco di genio di protagonisti coraggiosi, rari come i diamanti più preziosi. Due di queste leggende svettano nel mondo dell’automotive, il comparto che più di ogni altro attira gli interessi globali in questa fase storica: c’è la promessa di stravolgere la mobilità e renderla sostenibile, più ecologica e, soprattutto, più sicura.

Per assecondare il cambiamento epocale sono già stati stanziati in tutti i continenti migliaia di miliardi che daranno lavoro a milioni di persone, cambieranno l’esistenza di tutti, alimentando con punti preziosi l’intero Pil mondiale. In questa giostra che corre impazzita, ecco le due favole che poco incidono sui dati globali, ma hanno nell’approccio una forza esplosiva che emerge su tutto e su tutti, rendendo aziende sotto i riflettori, apparentemente con pochi punti in comune, autentiche icone delle idee che le animano. Due miti. Da una parte, c’è la Ferrari. L’orgoglio delle capacità tricolori, la vera essenza del made in Italy, in cui l’innovazione tecnologica va a braccetto in perfetta simbiosi con il fascino dell’esclusività, qualcosa che include i valori più ambiti della moda e del design.

Da quasi un secolo. Dall’altra, l’americana Tesla. Una start-up con poco più di un decennio sulle spalle, simbolo vivente della new economy, che sta portando la capitale dell’auto stelle e strisce dal Michigan alla terra promessa del West, direttamente nel cuore della Silicon Valley. Per un verso, Tesla è già entrata nella storia effettuando un sorpasso alla Hamilton: spinta dal toro scatenato di Wall Street, ha conquistato un valore nella borsa più ricca del globo superiore a quello delle Big Three di Detroit messe insieme. Come dire il simbolo del capitalismo Usa, cento anni di storia gloriosa alimentata da decine di marchi.

Possono due società affascinati ma relativamente piccole attrarre gli investitori dei mercati finanziari più importanti del pianeta? Prima che il coronavirus accerchiasse il mondo, facendo agonizzare contrattazioni e scambi, l’azione Ferrari aveva toccato il suo massimo, lo scorso 19 febbraio, a 169 euro. Lo stesso giorno, dall’altra sponda dell’Atlantico, il titolo Tesla è stato scambiato alla borsa americana a 873 dollari. Facendo due conti, l’azienda di Maranello lo scorso mese capitalizzava oltre 30 miliardi di euro, mentre quella di Palo Alto valeva più di 150 miliardi di dollari.

Non facile avere la sensazione precisa di quanti siano, sicuramente una montagna di soldi. Per avere un termine di paragone si può confrontare il valore delle principali aziende del settore, giganti che producono quasi 10 milioni di auto l’anno. Anche se c’è da ricordare che nell’ultimo mese la pandemia ha eroso parecchio valore. Il Cavallino, che produce solo 10 mila macchine l’anno e fattura meno di 4 miliardi di euro, capitalizza più dell’Alleanza Renault-Nissan o della futura newco Fca-Psa. Più o meno come le premium Daimler (che ingloba la Mercedes) o Bmw.

La Tesla, addirittura, aveva superato il valore di 150 miliardi di dollari, avvicinando l’inarrivabile Toyota che negli ultimi decenni ha capitalizzato circa il triplo della seconda in questa speciale classifica. In ogni caso, il secondo gradino del podio per la “piccola” Tesla è saldamente in cassaforte. Fin qui i numeri, significativi, ma un po’ freddi, che affondano le radici nella gloriosa heritage della Motor Valley italiana e nella forza dirompente della nascente auto zero emission. Non c’è dubbio, la Ferrari è unica. Il simbolo mondiale dell’auto ad alte prestazioni, forgiato dal fondatore stesso, con un albo d’oro in Formula 1, da lasciare a bocca aperta.

Il mito è nato con il Commendatore Enzo che sfidava chiunque: da Monza a Le Mans, da Montecarlo a Silverstone. Poi il passaggio alla Fiat dell’avvocato Agnelli che, all’inizio degli anni Novanta, affidò il timone a Luca di Montezemolo. Un ventennio d’oro, senza sbagliare un colpo. La striscia più preziosa di vittorie nelle corse con Michael Schumacher e la crescita parallela delle vetture di produzione diventate, oltre che super performanti, anche docili e confortevoli, gioielli da poter essere utilizzati tutti i giorni perché estremamente affidabili.

Poi, sei anni fa, la grande svolta con l’arrivo a Maranello di Sergio Marchionne. Il manager abruzzese e il Cavallino sembravano fatti l’uno per l’altro. E fu amore a prima vista. Per la Ferrari Marchionne metteva in secondo piano anche la Fiat Chrysler, l’azienda che aveva magistralmente creato partendo da un cumulo di macerie. Risanata Fca, alla Ferrari Sergio aveva deciso di dedicare la parte finale della sua splendida carriera. Era l’unico ad aver capito che il Cavallino era chiuso in un recinto tutto d’oro e, una volta staccato da Fca, avrebbe acquisito un valore superiore a quello della mamma stessa, un valore magicamente creato dal nulla. Dove potrà arrivare il galoppo del Cavallino secondo la parabola ipotizzata dal manager dei due mondi è un segreto che forse conosce solo John Elkann, l’erede di Sergio in sella al destriero, il nuovo uomo forte dell’automotive mondiale cresciuto a fianco del visionario.

«Quando sarà il tempo delle supercar elettriche, state sicuri che la Ferrari sarà la prima a farla», buttò lì facendo saltare sulla sedia mezzo salone di Detroit prima che il male se lo portasse via. Sia come sia, una società che garantisce un margine di un terzo del fatturato è qualcosa di sconosciuto anche al mondo del lusso. Altrettanto affascinante la storia di Tesla anche se la giovane età la fa essere poco più di una cronaca. Una bambina prodigio che qualche giorno fa ha festeggiato la milionesima auto elettrica venduta e nel 2019 ha superato la barriera delle 350 mila unità.

Fondata nel terzo millennio da Martin Eberhard e Marc Tarpenning a San Carlos, in onore dell’inventore austro-ungarico di origini serbe naturalizzato americano Nikola Tesla, vide entrare come principale azionista l’anno successivo Elon Musk, inventore sudafricano fondatore di PayPal ed ora diventato, oltre a uno fra gli uomini più ricchi e potenti della Terra, un autentico guru spaziale del trasporto ultra-veloce, dei razzi e dei satelliti. Musk spesso litiga con Wall Street, che invece l’adora.

La sua Tesla non produce utili ma ha acquistato valore straordinario, proprio come ha fatto Marchionne con gli asset del Lingotto rivalutati una decina di volte senza brillare per dividendo. Dopo l’artigianale Roadster realizzata sulla base della Lotus Elise (autonomia 340 km), nel 2012 fu la volta della prima vera Tesla, l’ammiraglia Model S, seguita negli anni successivi della Model X (un grande Suv) e dalla Model 3 (una classe media). Nel sito della casa, però, sono prenotabili altri tre modelli che ancora non esistono, presentati in modo quasi virtuale. Un’intuizione unica per raccogliere capitali in anticipo visto che i consumatori si fidano ciecamente di Musk dopo aver apprezzato la grande qualità e le straordinarie prestazioni dei prodotti commercializzati finora (sia la S, nel 2014, che la 3, nel 2020, sono salite sul podio del prestigioso premio Auto dall’Anno).

Autopilot per la guida quasi autonoma, possibilità di intervenire sulle modalità di guida da remoto, grande connettività, prestazioni superiori e autonomia imbattibile grazie alle batterie costruite nella Gigafactory 1, sono queste le doti che rendono Tesla un’eccellenza. Nonostante i pochi anni d’esperienza, l’azienda di Palo Alto ha avuto fra gli azionisti aziende di grande spessore come la Toyota e la Daimler, con la casa di Nagoya che gli ha venduto uno stabilimento dismesso da 500 mila auto l’anno.

Superlative le performance delle auto che devono ancora arrivare e che sono state illustrate nei dettagli, prezzo compreso. La Model Y è un Suv più compatto ed economico della Model X, il Cybertruck è un pick up super sportivo con tre motori, capace di raggiungere i 100 km/h in 2,9 secondi con caratteristiche di carico e traino da veicolo da lavoro. L’autonomia è di circa 800 km. La più impressionante è la Roadster, l’“auto più veloce del mondo” a poco più di 200 mila euro: autonomia 1.000 km, velocità massima 400 km/h, 0-100 in 2,1 secondi. Incredibile, con l’avvento dell’elettrico il tempo di accelerazione sul breve è già sceso di un terzo rispetto alle migliori vetture con motore termico. Chissà se il gioiello a batterie su cui sta lavorando la Ferrari (ha già depositato il brevetto di una powertrain con 4 propulsori) riuscirà a fare meglio? La sfida per volare da 0 a 100 in meno di due secondi è già partita.

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Martedì 24 Marzo 2020 - Ultimo aggiornamento: 27-03-2020 18:03 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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