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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Alcuni modelli della gamma Fca

Crisi dell'auto: coltiviamo inutili polemiche invece di difendere il made in Italy e preparare il futuro

di Giorgio Ursicino

Una tempesta in un bicchier d’acqua. Un dibattito non estraneo alla politica italiana: quando ci sono problemi enormi, preferisce alimentare la polemica e difficilmente ha una visione strategica che tenga conto degli interessi e del bene del paese. I risultati di questo modo di fare sono sotto gli occhi di tutti. Hanno fatto inchiodare le ruote ad uno dei paesi del G5 che, ormai da quasi un ventennio, non cresce più: fa mezzo passo avanti e uno indietro. In questo scenario, facile comprendere che, con lo shock della pandemia, l’Italia abbia più difficoltà di altri.

Veniamo al caso Fca. Una discussione nella quale l’azienda non è mai entrata, ma suo malgrado si è trovata avvolta nel polverone. Proviamo a riavvolgere il nastro e ad elencare i fatti come si sono svolti. Fca Italy (non tutta Fiat Chrysler) è una grande azienda tricolore controllata da una più imponente multinazionale con sede in Olanda che, a sua volta, ha come principale azionista una storica famiglia italiana. La parte italiana del colosso dà lavoro diretto a 55 mila famiglie ed è il principale protagonista di un comparto di 5.500 aziende specializzate dell’indotto che occupano oltre 200 mila persone e creano valore per 120 miliardi, 50 dei quali commissionati da Fca Italy.

Gli attuali vertici dell’azienda controllata da Exor non amano mettersi in mostra, tanto che sono in pochi a conoscere lo spessore di innovazione che prevedono i 5 miliardi di investimento finalizzati anche a mantenere il livello occupazionale nella nuova fase della mobilità. Un libero piano aziendale. Basato sul coraggio e l’inventiva, senza alcun impegno vincolante nei confronti di nessuno. Elkann, il capo assoluto, e Pietro Gorlier, numero uno della regione Emea, non hanno fatto grancassa di questo ambizioso progetto e non hanno mai chiesto (neanche a bassa voce) incentivi di qualsiasi tipo. Neanche per il mercato, di cui sono i principali protagonisti e che versa in condizioni disastrose come dimostrano gli allarmi lanciati da tutte le associazioni di settore.

Il precedente CEO, che ha reinventato l’azienda, aveva detto in uno dei suoi primi insegnamenti: «Se vuoi essere libero non devi chiedere aiuto a nessuno, devi farcela con le tue forze». Qualche esempio di cosa sta facendo Fca in Italia, cambiando completamente l’approccio e rivisitando ancora una volta gli impianti che peraltro sono nuovissimi: totale svolta ecologica, uscita dal diesel fra i primi, elettrificazione ad ampio spettro che presto renderà quasi tutti i modelli elettrici o ibridi. La nuova 500, un modello simbolo, sarà solo elettrica; l’attuale, insieme alla Panda e alla Lancia Ypsilon (le regine delle citycar europee) sono già tutte mild-hybrid.

Entro il prossimo anno avremo tre Maserati elettriche (la supercar MC20, le nuove GranTurismo e GranCabrio), due delle quali verranno realizzate nel polo di Mirafiori dove è stato investito quasi un miliardo. Rifatto e potenziato lo stabilimento di Modena e allargato Cassino che ospiterà il piccolo Suv Maserati con un altro investimento vicino al miliardo. A Melfi, stanno nascendo due premium americane plug-in, le Jeep Renegade e Compass. In Val di Sangro, l’impianto più grande d’Europa per veicoli commerciali subirà un’ulteriore accelerazione tramite la fusione con Psa. Poi, il governo ha fatto i suoi decreti per il covid dove ci sono gli aiuti alle aziende italiane per superare la pandemia e non morire di mancanza di liquidità (è come l’ossigeno).

Quando la legge era già scritta, e certamente non chiesta da Fca, il Lingotto si è mosso come voleva il governo. Anzi, ha messo a disposizione della filiera i 6,3 miliardi che poteva richiedere solo lei. A questo punto, da molte parti, si sono alzate richieste di ulteriori garanzie che non avevano nulla a che vedere col prestito. Fca aveva già avuto una linea di credito di 3,5 miliardi e il mercato dei capitali più grande del mondo (insieme a Washington) è sicuramente disponibile ad aiutare un’azienda (Fca americana) che nel quarto trimestre dell’anno scorso ha avuto un favoloso margine a doppia cifra.

Per non parlare della Ferrari (non c’entra nulla con Fca, ma fa sempre parte del gruppo Exor) che l’altro giorno ha emesso bond per 500 milioni e ha ricevuto richieste per 3,3 miliardi. Tanto i 6,3 miliardi “incriminati” sono un prestito a tre anni, non a “fondo perduto”. Da qui le richieste strane che, se la Casa Bianca e l’Eliseo dovessero sentirle, non solo potrebbe saltare la fusione con Psa, ma quelli di Chrysler potrebbero chiedere il divorzio dal matrimonio che ha funzionato meglio nella storia dell’auto. Secondo qualcuno Fca è in difficoltà, quindi è il momento di chiedere. Riportare subito qui la sede mondiale emigrata in Olanda per far funzionare meglio la multinazionale.

Qualcuno ha addirittura tirato in ballo l’accordo di fusione con Psa che, per essere 50 e 50, richiede necessariamente delle compensazioni. Un’intesa già scritta che, rivedendo i cardini, potrebbe saltare. Basta buttare un occhio ai risultati finanziari e risulta chiaro che, per tenere uniti due mondi, serve molto equilibrio. Su poco più di 100 miliardi di fatturato, Fca nel 2019 ne ha realizzati quasi 75 in Nord America (tre quarti...). Il risultato operativo dell’azienda (quasi 7 miliardi di euro) proviene tutto da lì, il piccolo segno positivo dell’America Latina serve a coprire le perdite non ingenti dell’Europa e dell’Asia. E l’Italia si trova nella “region” Emea. Quindi una parte dei soldi investiti da Jeep nella Penisola hanno attraversato l’Atlantico.

Gli americani difendono i loro diritti: se portassimo la sede in giro per l’Europa si arrabbierebbero parecchio. Con la fusione con Psa il peso, anche industriale, dell’Italia scenderà ancora e non dobbiamo costringere un’azienda che crede nel nostro paese per storia, radici e tradizione a fuggire definitivamente. D’altra parte, anche in passato, non siamo stati bravi ad attirare le multinazionali automotive nella Penisola: nonostante una grandissima heritage, siamo gli unici ad avere solo un costruttore. Oltre ad essere surclassati dai nostri competitors che sono Germania, Gran Bretagna e Francia, vediamo con il binocolo nella classifica della produzione pure Spagna e Repubblica Ceca.

Siamo costretti a fare a sportellate con Romania, Ungheria e Polonia (qui grazie a Fca). Elkann, all’assemblea degli azionisti Exor, ha parlato con un certo fastidio dell’argomento. Pure con notevole distacco. Ma i messaggi li ha mandati chiari. Il dividendo straordinario? Non si tocca. L’accordo base con Psa è fatto ed «è scritto nella roccia». Di riportare la sede a Torino nessuno ha avuto il coraggio di chiederglielo. Ha invece mandato un monito urbi et orbi alla politica. I governanti devono preparare le condizioni per le quali il paese possa crescere. La svolta della mobilità sostenibile è già avvenuta e l’auto elettrica è fra noi. Ma come faremo ad usare le vetture a batteria se nessun governo si è mai preoccupato di agevolare l’istallazione di una rete di ricarica? Di colonnine in autostrada non si vede ancora neanche l’ombra...

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Sabato 13 Giugno 2020 - Ultimo aggiornamento: 18-06-2020 10:24 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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