• condividi il post
MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Auto in stock

Auto, in Italia il mercato e l'industria aspettano le promesse del governo

di Giorgio Ursicino

Il settore è ormai al collasso, il meraviglioso giocattolo dalle uova d’oro rischia di infrangersi contro il muro. E questa volta con pochissime possibilità di rimettere insieme i cocci. Ormai è troppo tempo (almeno vent’anni) che l’auto in Italia è abbandonata a se stessa, accusata e penalizzata in tutti modi. Come non fosse un formidabile mezzo di libertà individuale e, di gran lunga, il più importante comparto della nostra traballante economia. Un gioco che, tutto compreso, vale oltre 335 miliardi l’anno, offre business a più di 200 mila aziende, garantendo lavoro e una vita decorosa ad oltre 1,2 milioni di famiglie, erogando ben 26 miliardi di retribuzioni.

Il denaro che muove equivale al 20% del nostro Pil, una percentuale più o meno simile la rappresenta per le entrate dello Stato di cui è, senza timore di essere smentiti, il primo contribuente. Chi amministra la cosa pubblica, e dovrebbe preoccuparsi del bene dei cittadini e del paese, come fa a chiudere gli occhi di fronte a tutto questo ben di dio? Il dubbio che l’astronave sia senza pilota, ormai è più che una certezza. Anche se non dovessero preoccuparsi degli aspetti economici perché siamo troppo ricchi, come si fa ad ignorare le esigenze delle persone, della loro salute e della loro sicurezza? In fondo sono anche elettori.

Gli automobilisti sono più che esausti. Li hanno martoriati con balzelli di tutti i generi senza preoccuparsi del loro sacro diritto di muoversi in santa pace. In Italia ci sono 40 milioni di vetture e, da sempre, un grande amore per l’auto. Se questo enorme parco circolante è diventato inquinante, pericoloso e obsoleto, non è certo per disinteresse, ma per mancanza di risorse che, ormai da qualche tempo, il paese non garantisce più. L’automotive andrebbe aiutato, non punito e asfissiato. Un terzo delle auto italiane (il 32,5%) è ante Euro 4, in un paese civile dovrebbe essere già rottamato per non creare insormontabili problemi di rispetto ambientale e di sicurezza stradale.

Tutti questi calessi vanno velocemente sostituiti con altre vetture più nuove. Se i veleni nell’aria fossero tutti causati dal traffico (il lockdown ha chiaramente dimostrato il contrario) sarebbe questo l’unico modo per ridurre l’inquinamento. Non certo dando il bonus alle tecnologiche vetture elettriche che da noi non sono quasi utilizzabili perché ci siamo “dimenticati” di mettere le colonnine di ricarica. Gioielli del futuro e, in molti paesi, anche del presente, ma che lo scorso anno nella Penisola non sono arrivati neanche all’1% delle vendite totali (appena 15 mila unità). Lo zero virgola che misero contributo può dare all’aria che respiriamo?

Ma ci sono dati ancora più agghiaccianti sul parco: il 57% delle auto ha più di un decennio, 13 milioni di vetture sono maggiorenni, cioè hanno più di 18 anni. Carrette. A marzo e aprile le consegne sono crollate rispettivamente dell’85,4 e dell’97,5%. Non era difficile immaginare che a maggio, finito il lockdown e rialzate (a fatica) le saracinesche dei concessionari, non ci sarebbe stato il pienone. C’era da immatricolare il bel gruzzoletto di veicoli venduti prima della pandemia, ma i nuovi ordini sono stati ben pochi, forse il 60% di quelli dello scorso anno: una linea di galleggiamento che certo non evita il naufragio (a maggio appena 100 mila targhe, -50%).

La situazione è tragica. Comunque vada, servirà intervenire subito per non creare voragini più grandi. Nei piazzali dei concessionari tricolori pare ci siano parcheggiate 900 mila macchine in attesa di un cliente, per un valore (scusate se è poco) di 18 miliardi di euro e, ora che le fabbriche hanno ripreso a girare, aumenteranno ancora. Se non accadrà qualcosa, in tutto il 2020 si venderà poco più di un milione di auto, 800 mila meno del 2019, con un ammanco di gettito Iva che si avvicinerà ai 4 miliardi. Se il quadro rimarrà questo, c’è il rischio che le oltre 1.500 aziende di distribuzione ufficiali, che danno lavoro a 160 mila persone, ne dovranno tagliare almeno 40 mila.

Fin qui lo scenario ultra emergenziale del quale Conte dovrà occuparsi subito per non venire sepolto dalle macchine nuove e lasciar girare delle bombe ecologiche tenute insieme con il fil di ferro. Altro che bonus per le vetture con la “spina”, per vedere qualche risultato bisognerà dare gli incentivi a tutte le Euro 6, anche diesel e usate, come hanno fatto i francesi che hanno affrontato il problema con concretezza, mettendo da parte ogni aspetto ideologico. Ma c’è l’altra faccia della luna, se volete ancora più importante, perché ne vale del nostro futuro e, soprattutto, quello dei nostri ragazzi.

Servono mosse strategiche che sono strutturali e senza le quali non si va da alcuna parte. Una buona parte del fatturato automotive è generato dalla distribuzione e dalla vendita; un’altra, ancora più importante, proviene dall’industria, dalle attività italiane di Fca e delle oltre 10 mila aziende specializzate e tutte molto apprezzate, anche all’estero. Un settore nel quale è necessario preparare il terreno e fare gli investimenti adeguati perché, quando il treno è passato, non c’è più modo di raggiungerlo. Un comparto che esporta oltre il 50% della propria produzione con vantaggi enormi per la nostra bilancia commerciale. Un settore che ha bisogno del supporto dello Stato ancora più del mercato.

L’automotive tricolore, in decisa crescita fino al 2018, è in calo da 20 mesi consecutivi e, nel primo trimestre di quest’anno, ha perso il 21%, toccando il 24% nell’assemblaggio delle auto (l’inversione di tendenza, sarà un caso, c’è stata quando è mancato il compianto Sergio Marchionne). Nella produzione le scelte vanno fatte con largo anticipo e, quasi sempre, è necessario un piano orchestrato dalla politica che deve indirizzare gli investimenti dove fra dieci anni ci sarà crescita e lavoro. Adesso sembra, finalmente, che qualcosa si muova. Forse spinto dal vigoroso sostegno che il presidente francese Macron ha illustrato nei giorni scorsi, e che la cancelliera Merkel aveva già messo insieme prima dell’emergenza, Palazzo Chigi ha promesso di intervenire.

Certo bisogna fare in fretta. Ma serve soprattutto agire nel modo adeguato, perché l’occasione è epocale e non va assolutamente buttata. La nuova auto ecologica deve essere rimessa al centro di un progetto virtuoso, accompagnata e guidata. Blindata, una volta per tutte, degli assalti alla diligenza ideologici delle amministrazioni locali. Il folle assedio di Roma al diesel pulito è stata una pazzia, così come non ha fondamento razionale e giuridico la posizione di Milano che ha equiparato l’automobile «alle armi, la pornografia, i superalcolici e il fumo o a messaggi offensivi tipo il razzismo, l’odio, la minaccia, il fanatismo, modi di fare in ogni caso lesivi della dignità umana».

Come si fa a ragionare così? Come è possibile sopravvivere in questo contesto? Il mondo dell’auto è di fronte ad una svolta epocale, fra un po’ nulla sarà più come prima. Cambierà talmente che chi è dentro rischia di rimanere fuori. L’industria della mobilità diventerà tecnologica come non lo è mai stata (connettività e guida autonoma, oltre ad una massiccia elettrificazione) e serviranno investimenti enormi che però garantiranno di far parte di un club ristrettissimo in cui sono 5 o 6 i paesi che si spartiranno una torta enorme. Il core business saranno le celle delle batterie, un tema per cui ora sono in ballo 4 nazioni (Cina, Usa, Giappone e Corea) più la potente Germania, che ha promesso di recuperare, e la Francia (con il colpo di reni di Macron).

L’Italia è fuori (Conte e compagni pensano ai monopattini visto che la Capitale ha solo strade lisce come biliardi...) e difficilmente rientrerà. Venendo esclusi, si perde il 35% o il 40% del valore dell’auto. Finora le vetture le realizziamo tutte in casa, anche le più sofisticate; un domani solo il 60-70%. Anche la Ferrari sarà costretta a rifornirsi all’estero nonostante ora sia l’azienda automotive che vale di più al mondo: quasi dieci volte il suo fatturato annuo. Come se la grande Volkswagen valesse 2.500 miliardi. Fca fa bene il suo, ma non può realizzare tutto da sola. Nei prossimi mesi lancerà la 500 solo elettrica e Maserati farà vedere una supercar due posti completamente a batterie, un mostro che non hanno ancora Tesla, Porsche, Audi e Bmw.

Le pile delle batterie le produrrà in Francia visto che si sta fondendo con Psa. Il premier Conte dovrà necessariamente fare un piano, se non ha già deciso che il nostro paese deve uscire anche dell’automotive, come ha già fatto per la siderurgia, la grande chimica, il trasporto aereo. E, finalmente, dovrà parlare chiaro anche su una cosa molto più alla portata, delle celle della batterie. Un aspetto che a breve ci terrà fuori dai paesi civili. Abbiamo un parco di 50 milioni di veicoli, ma non abbiamo alcun piano organico per avere i punti di ricarica. Eppure vogliono incentivare solo le auto zero emission.

Ma come le riforniamo? L’amministrazione di Roma, durante un evento planetario come E-Prix dell’Eur di Formula E, ha trionfalmente dichiarato: «La mobilità elettrica è il futuro, la città avrà duemila colonnine». I costruttori di tutto il mondo hanno sgranato gli occhi, altrove duemila colonnine sono in un quartiere. Intanto le auto a batterie le vanno a vendere in altri paesi, a noi riservano la tecnologia “scaduta”. Eppure, fino a poco tempo fa, eravamo il quarto mercato del mondo.

  • condividi l'articolo
Venerdì 28 Agosto 2020 - Ultimo aggiornamento: 02-09-2020 10:41 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
COMMENTA LA NOTIZIA
0 di 0 commenti presenti