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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Una fabbrica di auto

Auto, il mercato è fermo. I giganti del settore preparano la ripresa, il grande nemico è la liquidità

di Giorgio Ursicino

L’industria dell’auto accusa più di ogni altra l’impatto devastante del coronavirus. Al di la dell’immediato blocco alla produzione più o meno in tutti i continenti, per proteggere il più velocemente possibile gli operai sulle linee dal rischio del contagio, c’è stato un repentino crollo dei mercati. Il calo delle vendite non si vede subito poiché nell’automotive avviene secondo un onda lunga e il processo d’acquisto, a seconda dei paesi, può durare anche diverse settimane.

In pratica, ogni costruttore ha un portafoglio ordini più o meno formalizzati che a livello globale può valere anche centinaia di migliaia di pezzi. Così, con la paura della pandemia, si sono bloccate le vendite ma non le immatricolazioni che nel mese di marzo in Italia hanno subito un fortissimo rallentamento ma non un fermo, come avverrà invece ad aprile. D’altra parte, chi aveva già pagato (tutto o in parte) la nuova vettura è scontato che faccia di tutto per ritirarla.

A bocce ferme, invece, il blocco è totale perché il mercato è in gran parte di sostituzione e l’auto, oltre a non essere un bene di prima necessità, è la seconda spesa più elevata dopo la casa, quindi, in un periodo di forte preoccupazione come questo, logico che i consumatori rimandino l’acquisto. In Cina le vendite sono scese di quasi l’80% a febbraio, in Italia a marzo il calo sarà addirittura superiore perché l’isolamento teso a non diffondere il virus ha coinvolto da noi l’intera Penisola.

La filiera del settore, come tutti i comparti dell’economia, ha lanciato immediato il grido d’allarme perché sono a rischio migliaia di posti di lavoro e l’automotive vale una decina di punti di Pil, quindi può essere fondamentale al momento della ripartenza per generare l’effetto traino. Anche nell’ipotesi meno buia di una ripartenza lenta e progressiva, il covid-19 si è già mangiato oltre il 30% del mercato italiano che nell’anno si attesterebbe intorno ad 1,3 milioni di auto, un livello di non sopravvivenza per molte aziende, addirittura peggiore della crisi finanziaria del 2009 e di quella petrolifera degli anni Settanta.

La speranza è che, sospeso il patto di stabilità, si trovino quelle risorse non disponibili prima per incentivare la rottamazione delle vecchie auto, in Italia molto più numerose che nel resto d’Europa. Aiuti non più di nicchia, ma su larga scala. Le risorse disponibili potrebbero anche servire per adeguare la tassazione delle auto aziendali a livello UE e per dare contribuiti più consistenti ai veicoli da lavoro.

Ma il governo potrebbe essere chiamato anche a dare aiuti all’industria con grossi problemi di liquidità, operazione che altri paesi che hanno stanziato 2.000 miliardi come gli Usa o 500 come la Germania hanno già programmato. Colossi come le aziende automobilistiche, in caso di blocco totale mai avvenuto in precedenza, vanno rapidamente in crisi di liquidità. Infatti le più grandi (come la Volkswagen e la Toyota) sono abituate ad un fatturato di quasi un miliardo al giorno per alimentare le ingenti spese (il gruppo di Wolfsburg ha oltre 600 mila dipendenti).

La liquidità in cassa è esuberante per gestire l’ordinario, non può essere adeguata per combattere il covid-19 se la situazione si protraesse nel tempo. I giganti, appena si è capito quello che poteva essere, sono corsi ai ripari cercando liquidità. Fca ha nei giorni scorsi annunciato di aver sottoscritto una linea di credito con due banche per 3,5 miliardi che si aggiungono ai 7,7 miliardi delle linee precedenti ed alla liquidità dell’azienda accompagnata ed un azzeramento del debito industriale raggiunto nel 2018.

Una montagna di denaro che potrebbe non bastare. La Toyota, finanziariamente la più solida del settore con risultati da record, ha fatto qualcosa di simile. La casa di Nagoya ha ottenuto dal sistema bancario giapponese una linea di credito di 8 miliardi di euro che si sommano agli oltre 40 di liquidità che ha l’azienda. Le realtà più solide non possono non pianificare una ripartenza. La Ferrari (margine 35%) e Fca Nord America (10% di margine, da primato per una società generalista) hanno ipotizzato il 14 aprile, fornitori permettendo in quanto l’industria dell’auto è ormai globale e un piccolo componente dall’altra parte del mondo può bloccare qualsiasi produzione.

In Cina il peggio sembra ormai alle spalle e lavorano sulla ripartenza: niente incentivi del governo, ma dieci grandi città hanno già tolto la pratica delle targhe limitate per non far crescere il circolante. Ma la Cina proviene da decenni di crescita vertiginosa e non ha un’economia affaticata come la nostra.I giganti

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Domenica 29 Marzo 2020 - Ultimo aggiornamento: 01-04-2020 09:44 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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