Jeep Renegade in attesa dell'imbarco al porto di Civitavecchia

Auto, l'Italia che va: i gioielli di Melfi
fanno ripartire treni, bisarche e navi

di Diodato Pirone
  • condividi l'articolo

CIVITAVECCHIA - Ma chi lo ha detto che le buone auto sono figlie solo dell'industria tedesca? Ma dove sta scritto che gli italiani sanno fare solo abiti, scarpe e spaghetti ovvero prodotti che richiedono una organizzazione relativamente semplice?


Per fortuna, da qualche tempo a questa parte la realtà industriale e la complessità logistica del made in Italy stanno sfatando molti falsi miti. Passo dopo passo, infatti, l'Italia sta tornando a dotarsi di fabbriche in grado di sfidare la globalizzazione e di creare molti posti di lavoro come è successo l’anno scorso alla Maserati di Grugliasco (passata da 1.100 a 2.500 lavoratori) e come in queste settimane si vede alla Fiat di Melfi, in Basilicata, dove sono scattate circa 1.900 assunzioni.

La novità meno nota è che assieme alle fabbriche sta rinascendo una rete logistica di primordine anch’essa in grado di creare occupazione, spesso di ottima qualità. La filiera automobilistica, infatti, ha il pregio di produrre un alto valore aggiunto a cascata poiché si articola su un fitto reticolo di nodi di interscambio, treni-bisarca, maxi-navi transoceaniche, parcheggi attrezzati, porti con hub specializzati. Esempi concreti? A sorpresa il porto di Civitavecchia, a due passi da Roma, sta diventando il nuovo trampolino di lancio nel mondo dell’auto “made in Italy”.

Qui, da qualche settimana, ogni giorno arrivano due lunghi treni carichi ognuno di 208 fra Jeep Renegade e Fiat 500X. Destinazione? Il porto americano di Baltimora e quello canadese di Halifax collegati con le navi-bisarca della Grimaldi Lines di Napoli. Un business completamente nuovo. E molto ricco. Il dato ufficiale di quante auto “made in Italy” saranno movimentate a Civitavecchia e' riservato ma una chiacchierata con i lavoratori portuali fa emergere una cifra a regime (cioè nel 2016 quando da Cassino arriveranno anche le Alfa Romeo per i clienti yankees) di 150.000 vetture annue.

Per accogliere con professionalità questa manna dal cielo e scaricare e caricare la “merce” (ogni auto deve essere imbarcata sulle navi secondo un ordine particolare e va assicurata al pavimento con corde particolari, le rizze) il Porto di Civitavecchia dovrebbe creare un centinaio di nuovi posti di lavoro. L’Autorità Portuale ha poi speso 5 milioni solo per costruire un maxi-parcheggio da 60.000 metri quadri (compound per gli addetti) che viene servito da 11 terminali ferroviari.

«Un signor parcheggio dove ogni auto è rintracciabile elettronicamente - spiega un portuale - Pochi giorni fa gli ispettori della Fiat lo hanno controllato metro per metro chiedendoci perfino di spazzare dal terreno le bricioline di bitume. Manca solo la cera sull’asfalto». Certo che a Civitavecchia la distesa di migliaia di Renegade avvolte nel cellophane protettivo bianco in attesa dell’imbarco fa impressione: si tocca con mano un aumento dell’export per miliardi di euro. Una sola, gigantesca nave-bisarca da 7.000 vetture della Grimaldi è in grado di trasportare un carico di vetture del valore di 120/140 milioni di euro.

«Abbiamo deciso di ordinare altre cinque navi con un investimento di circa 300 milioni», sottolinea Manuel Grimaldi, l’armatore napoletano che guida un’azienda ai primi posti fra quelle del Sud con quasi 3 miliardi di fatturato, 10 mila dipendenti in tutto il mondo, centinaia di navi in grado di trasportare quasi due milioni di vetture (non solo italiane) tra tutti e cinque i continenti. «Non posso fare numeri sull’incremento del traffico dall’Italia, ma il trasporto delle Jeep made in Italy verso l’America è solo la punta di un nuovo iceberg - assicura Grimaldi - Già ora portiamo tutte le auto made in Italy verso la Spagna e il Nord Europa. Senza considerare i motori che con le nostre navi partono dall’Italia per raggiungere la Turchia, la Serbia (via porto di Bar in Montenegro), il Messico. Ci prepariamo per le Alfa Romeo».

Troppo ottimismo? In realtà Grimaldi spiega che il trasporto marittimo delle auto, anche verso porti d’oltre oceano, non incide troppo sui costi del prodotto. «Mediamente siamo fra l’1 e il 3% del prezzo dell’auto - sottolinea l’armatore - E questo spiega perché ordiniamo maxi-navi da 7.000 pezzi». Nella rinascita della filiera logistica dell’automotive italiano, infine, ha un ruolo anche il treno. Trenitalia Cargo (Gruppo Fs), il vettore che collega Melfi con Civitavecchia, aggiunge la ciliegina sulla torta: grazie al treno il boom della produzione d’auto non aumenterà l’inquinamento.

Nel solo 2014, dicono a Trenitalia Cargo, i treni-bisarca hanno tolto dalle strade 1,5 milioni di viaggi che altrimenti sarebbero stati affidati ai Tir: 1 milione di tonnellate in meno di Co2; 17 miliardi di megajoule di energia risparmiati. La logistica dell’auto made in Italy, insomma, è pure green.

  • condividi l'articolo
Sabato 11 Aprile 2015 - Ultimo aggiornamento: 06-05-2015 05:44 | © RIPRODUZIONE RISERVATA